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Cosa

GUIDA DI SAN GIORGIO della RICHINVELDA
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COSA
I più antichi riferimenti a Cosa risalgono al XII secolo. Nel XIII secolo è citata nella denominazione della pieve: “Plebs S. Giorgii de Cosa”, così chiamata probabilmente a motivo della sua vicinanza con il torrente Cosa.
Il villaggio aveva un castello sulle cui fondamenta i conti di Spilimbergo costruirono un palazzo, poi passato ai conti Attimis-Maniago (XVI-XVII sec.).


La chiesa parrocchiale
La chiesa è dedicato a San Tommaso Apostolo e la costruzione dell’attuale edificio è iniziata nel 1846 sullo stesso luogo in cui sorgeva una precedente chiesa della quale sono rimaste esigue tracce.
La nuova chiesa (fig. 25), costruita dal capo-muratore Giacomo Basso e completata nel 1870, presenta una facciata in stile neo-classico con quattro lesene sovrastate da un timpano con un occhio centrale, un piccolo timpano sopra la porta centrale e due lapidi fra le lesene con i nomi dei caduti della Grande Guerra.
L’interno ha una sola navata e nel presbiterio, sopraelevato di qualche gradino, è collocato l’altare maggiore in marmi policromi della fine del Seicento, attribuibile agli scultori veneti Bettamelli e proveniente dall’antica chiesa. Ai lati dell’altare sono collocate due statue lignee di San Pietro e di San Paolo Apostoli (fig. 26) che risalgono alla prima meta del XX secolo.
Di interesse, l’altare laterale nella navata, anch’esso in marmo policromo, che sostiene una bella pala con
la Circoncisione di Gesù di cui il restauro del 1975 ha rivelato l’autore e l’anno di esecuzione: “GIO. M. Bittini Fec(it) Venezia 1703”. Pur in assenza di tracce sull’autore, l’opera mostra chiari segni della poetica veneta secentesca con reminiscenze veronesiane.
Al Settecento risalgono pure l’acquasantiera e il fonte battesimale, quest’ultimo composto da una parte lignea molto più recente.
Da segnalare i dipinti ad olio su tela con Cristo risorto sullo sfondo del presbiterio e Il Giudizio universale sul soffitto della navata, entrambe opere di Lino Lenarduzzi eseguite nel 1990.
   
Castello di Cosa
Imponente costruzione secentesca (fig. 27), circondata da un ampio parco cinto da mura merlate, si erge su un antico castello di cui non rimane traccia.
Originariamente di proprietà dei Signori di Spilimbergo, passò poi ai Signori Attimis-Maniago a seguito di un matrimonio tra le casate.
L’edificio subì incendi e devastazioni nel corso della Grande Guerra e il suo degrado fu tale da essere ridotto a granaio e deposito per derrate. Venne più tardi salvato da intelligenti restauri e attualmente consta in un lungo corpo principale secentesco e una delle basse torri costruite agli angoli all’inizio del XVIII secolo.
La facciata, compresa tra due massicce strutture aggettanti, mostra, nella sua parte centrale, sei lesene sostenute dal cornicione del primo piano e sovrastate da un timpano. Al piano nobile si accede salendo un’elegante scala a doppia rampa speculare che si apre su un vasto salone principale che a sua volta dà su altre sale. L’interno, che aveva subito le maggiori devastazioni, è ora abbellito da decorazioni dell’artista friulano Mario Ribassi.

Annesso al Castello, a ridosso delle mura merlate, si erge l’Oratorio di Sant’Antonio (fig. 28), un edificio ad aula rettangolare con un’abside poligonale e campanile a vela. In facciata, sopra la porta d’ingresso, si apre una nicchia incorniciata con arco a tutto sesto che accoglie una bella statua di Sant’Antonio. All’interno, sull’altare, sono collocate tre statue di marmo bianco che rappresentano Sant’Antonio da Padova, francescano e predicatore insigne, San Luigi Gonzaga, gesuita ed esempio di carità e San Giovanni Nepomuceno, sacerdote e martire. Le statue, proporzionate e scolpite con abilità, sono tutte databili alla fine del Seicento.
Di fronte all’Oratorio di Sant’Antonio sorge un’edicola stradale in cui era stata collocata una statua lignea con una Madonna con Bambino (fig. 29), di autore ignoto, risalente alla seconda metà del XVI secolo. Nel 1986 la statua fu rubata.
Ancora numerosi, a Cosa, sono gli “affreschi devozionali” che decorano le facciate delle case, preziosa testimonianza del vivere della nostra gente nel passato e della sua religiosità, a cui si affiancano altri segni di pietà popolare tra cui si segnala la croce in ferro con i simboli della Passione (fig. 30) che si erge nella via che porta al cimitero.
                  
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